L’amore «non cerca il proprio interesse», San Isaaco il Siro
1. L’amore «non cerca il proprio interesse» (1 Cor 13,5).
Dicono del beato Antonio che non pensò mai di fare qualcosa che giovasse a sé stesso più che al prossimo. E questo perché credeva che il guadagno del prossimo fosse per lui l’opera migliore.
Ancora, dissero dell’abate Agatone che affermava: «Vorrei trovare un lebbroso, prendere il suo corpo e dargli il mio». Hai visto l’amore perfetto? E ancora, se aveva qualcosa di utile, non sopportava di non confortare il prossimo con esso. Una volta possedeva uno scalpello per tagliare le pietre. Venne da lui un fratello e, vedendo lo scalpello e desiderandolo, non lo lasciò uscire dalla sua cella senza di esso.
Molti eremiti offrirono i loro corpi alle belve, alla spada e al fuoco per il bene del prossimo.
Nessuno può raggiungere tali misure d’amore se non vive segretamente , nel profondo del suo cuore, la speranza in Dio. E non possono amare veramente gli uomini coloro che danno il loro cuore a questo mondo effimero. Quando una persona acquisisce il vero amore, si riveste dello stesso Dio insieme ad esso. È necessario, dunque, che chi ha trovato Dio si convinca che non può trattenere nulla insieme a Dio che non sia indispensabile, ma che deve spogliarsi anche del proprio corpo, cioè delle comodità fisiche non necessarie. Una persona rivestita, nel corpo e nell’anima, della vanità mondana e che desidera godere dei beni di questo mondo, non può indossare Dio – diventare portatore di Dio – finché non abbandona tutto ciò. Perché lo stesso Signore ha detto: «Chi non rinuncia a tutti i beni mondani e non odia la sua vita mondana, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Non solo deve abbandonarli, ma anche detestarli. Se dunque non può diventare suo discepolo, come potrà il Signore dimorare in lui?
2. Non trascurerò di raccontare ciò che fece san Macario il Grande per rimproverare coloro che disprezzano i loro fratelli. Una volta uscì per visitare un fratello malato e gli chiese se desiderasse qualcosa. Questi rispose che avrebbe voluto del pane fresco. Poiché in quel tempo tutti i monaci, per tutto l’anno, erano soliti preparare il pane come gallette, quel venerabile uomo, nonostante i suoi novant’anni, si alzò immediatamente e camminò dalla sua skiti fino ad Alessandria, dove scambiò le gallette che aveva preso dalla sua cella con del pane fresco e lo portò al fratello.
Anche l’abate Agatone, simile al grande Macario di cui ho parlato, fece qualcosa di ancora più straordinario. Quest’uomo, il più esperto in questioni spirituali tra tutti i monaci del suo tempo, onorava il silenzio e la quiete più di chiunque altro. Ebbene, questo uomo ammirevole, durante una festa in città, andò a vendere il suo lavoro manuale. Trovò nella piazza un forestiero malato, abbandonato in un angolo. Che fece allora? Affittò una casetta e rimase accanto a lui, lavorando con le mani. Tutto ciò che guadagnava lo spendeva per il malato e lo servì continuamente per sei mesi, finché questi non guarì.
3.La parola del Signore, vera e infallibile, ci dice che una persona non può avere in sé il desiderio delle cose mondane e, allo stesso tempo, l’amore per Dio (Mt 6,24).
4. Considera che appartiene a Dio colui che, per la sua grande compassione, è morto alle sue necessità materiali. Perché chi ha misericordia del povero ha Dio che si prende cura delle sue necessità. E chi si priva di qualcosa per Dio, ha trovato tesori inesauribili.
Dio non ha bisogno di nulla, ma si rallegra quando vede qualcuno confortare la sua immagine e onorarla per amore di Lui. Quando qualcuno viene e ti chiede ciò che possiedi, non dire nel tuo cuore: «Lo terrò per me, perché mi dia conforto, e Dio soddisferà il bisogno del fratello in un altro modo». Perché queste parole sono dette dagli ingiusti che non conoscono Dio. L’uomo giusto e virtuoso non trasferisce ad altri l’onore che gli ha fatto il fratello bisognoso, né permette a se stesso di perdere l’opportunità della misericordia. Il povero e il bisognoso ricevono il necessario da Dio, perché il Signore non abbandona nessuno. Tu, però, che hai voluto confortare te stesso piuttosto che il tuo fratello povero, hai rifiutato l’onore che Dio ti ha concesso e hai allontanato la sua grazia da te. Quando dunque fai l’elemosina, rallegrati e di’: «Gloria a te, o Dio, che mi hai reso degno di trovare qualcuno da confortare». Ma quando non hai nulla da dare, sii ancora più felice e ringrazia Dio dicendo: «Ti ringrazio, mio Dio, perché mi hai dato questa grazia e questo onore di diventare povero per il tuo nome, e perché mi hai reso degno di provare l’afflizione della debolezza fisica e della povertà, che hai stabilito nel sentiero stretto dei tuoi comandamenti, come l’hanno provata i tuoi santi che hanno percorso questa via».